«Ła łéngua vèneta l’e na łéngua parlà in Itałia inte ła regiòn del Veneto, inte ła provincia de Trento e inte ła zona costiera del Friuli-Venesia Julia, in Croasia drio łe coste de l’Istria e de ła Dalmasia» così la voce «Łéngua Vèneta» di Wikipedia. Invece no, fatevene una ragione: la Łéngua Vèneta non esiste. Lo afferma una delle massime autorità in materia, Gianna Marcato, docente di Dialettologia italiana all’università di Padova e allieva di Manlio Cortelazzo, in un’intervista pubblicata dai quotidiani veneti del gruppo Espresso. La professoressa parla di «orribile “lengua veneta” che non ha nessun fondamento scientifico e culturale» e poi la definisce «un ectoplasma di una lingua che non è mai stata parlata da nessuno e che nessuno sente come sua». Fa però un’altra interessantissima affermazione riguardo alla propensione dei veneti a parlare dialetto, ovvero che «grazie alla scelta politica della Repubblica Veneta di non imporre una lingua unitaria ma di rispettare e valorizzare le singole varietà locali, queste hanno acquisito sicurezza e stabilità che si è mantenuta nel tempo». La grandezza di Venezia, quindi, non è stata imporre una lingua per tutti, ma rispettare le parlate locali. Questo è evidentissimo negli editti per la Dalmazia che venivano talvolta stampati in due lingue: italiano e illirico (l’antenato del serbo-croato). Quindi anziché sottolineare quali siano state le vere caratteristiche positive della Serenissima (in questo caso il rispetto per gli idiomi dei vari popoli che facevano parte dei dominî) se ne inventano di nuove e strampalate per soddisfare qualche movimento politico di oggi.
Si convinceranno i fautori della Łéngua Vèneta? Assolutamente no. Un studio pubblicato pochi gioni fa è sconfortante: Walter Quattrociocchi, della Scuola IMT Lucca, dove dirige il laboratorio di scienze sociali computazionali (CSSLab), assieme ad altri sette ricercatori ha analizzato in che modo due gruppi di iscritti a Facebook negli Stati Uniti si pongono nei riguardi delle notizie che compaiono nella loro timeline. La maggior parte dei sostenitori delle bufale neanche prende in considerazione le smentite, quei pochi che le leggono, non solo non cambiano opinione, ma dopo pensano di essere nel giusto ancora più di prima. E se si imbattono in un articolo che sostiene le loro idee, sono maggiormente propensi a cliccare «mi piace».
Poi la professoressa Gianna Marcato sarà tacciata di essere «un’itagliana», i quotidiani del gruppo Espresso sono ovviamente «itagliani» e quindi non possono che avere torto.
La conclusione è: la Łéngua Vèneta non esiste, quindi la Łéngua Vèneta è viva e lotta fra di noi.
Lo spagnolo ha diverse varietà ed è considerato lingua.
Il portoghese ha diverse varietà ed è considerato lingua.
Il sardo, con le sue varietà è considerato lingua.
Il friulano, anch’esso ricco di varietà, è considerato lingua.
È normale che una lingua sia parlata sotto forma di diverse varianti.
Abito in Friuli da 40 anni di cui i primi 10 trascorsi in Carnia; da circa 30 anni abito in Udine. Parlo il friulano anche se evito per abitudine e per principio di farlo. Riconosco dalla parlata un Carnico da un Friulano, ovviamente quando parlano in friulano perché nel Pordenonese, lungo la costa e a Trieste la parlata è completamente diversa in quanto di origine Veneta. Confermo la diversità del friulano tra varie zone del Friuli, principalmente tra la Carnia (dove la parlata è più dura) e il Friuli centrale. Dimenticavo: in casa parlo solo Veneto o se più aggrada a qualcuno pignolo, trevisano.
Benissimo. Aeora quel che ven parla’ sin adess cossa che l’era? Che a loengua veneta l’ abbia tante varianti i lo sa anca i putei….El Trevisan le diverso dal Bellunese e via disendo….ma questo nol vol dir che no i gabbia basi comuni….el veneto iera parla’ in tutto el bacino mediterraneo ai tempi dea Serenissima, anzi lera considerata una “lingua franca” ancora oggi a Creta all’ interno se parla una variante de loengua che l’ha molti punti in comune co la nostra parlata….e Goldoni comebel scrivea? Ndemo su…..
Goldoni scriveva in veneziano non nell’inesistente Łéngua Vèneta
CONDIVIDO…anche se debbo dire che mi piace parlare in dialetto che da noi è parlato sia dalla persona colta che non.
Posso dissentire ? La lingua veneta esiste, in molteplici varianti, che però – generalmente – si comprendono tra loro. Basi pensare che il veneto dei dalmati ha una musicalità triestina e termini veneziani, il veronese pronuncia la L mentre gli altri no, e comunque ogni lingua cambia e si adatta nel tempo. Quand’ero in Toscana, gli amici mi chiedevano la traduzione del Ruzzante a teatro, e anch’io avevo difficoltà a capire tutto, ma era un veneto antico. Del resto anche Dante non sempre si comprende completamente alla prima lettura…
Posso dissentire anch’io? Il veneto non è una lingua dal punto di vista sociolinguistico, ma un diasistema dialettale non standardizzato. Non esiste, non è mai esistita, una codifica ufficiale del veneto, sul modello di quel che fece Bembo con il volgare fiorentino aureo, in nessun’epoca.
Poi, chiaramente, se passiamo all’analisi prettamente linguistica, il veneto è una lingua, ma di quale veneto parliamo? Il veronese è una lingua tanto quanto il veneziano, il trevigiano, il rodigino, ecc.
La lingua veneta esiste ed ha partorito il Pavan an. di Ruzante che la professoressa se lo studi e se lo goda ad ascoltarlo.
Le differenze e le particolarità di nicchia, anche nel campo delle “lingue” parlate, possono essere mantenute vive, ci mancherebbe, rappresentano un valore culturale. Ma da questo a voler riesumare idiomi e parlate spesso solo dialettali per sostituirle alle lingue veicolari di un Paese o anche a livello planetario, ne passa. Oggi in Italia l’italiano è la lingua veicolare per far incontrare tutti i cittadini da Aosta a Lampedusa, la lingua Inglese serve per fare affari e farsi capire nel mondo. Semplicemente così. Finiamola con nostalgie del passato spesso senza fondamento!
peccato che la lingua veneta sia nata 1000 anni prima dell’italiano
Ma cosa c’entra che abbia molte varianti! E l’italiano non ne ha forse? Che é una standardizzazione forzata e imposta del toscano a cui hanno appiccicato l’etichetta di “italiano”? Il veneto non ha mai avuto una una codificazione e standardizzazione. E allora? Ci sono migliaia di lingue in Africa per dire che non c’è l’hanno mai avuta ma sono lingue nondimeno. Di sicuro il veneto non é dialetto dell’italiano che ha altra filogenesi. La marcato sinceramente può dire quello che vuole, probabilmente prezzolata preferisco fidarmi dell’UNESCO.
La lengua veneta esiste ma no se scrive nel modo subdolo e volutamente falso e scorretto come l’articolo de sora. Dove dei analfabeti scrive Dalmasia al posto de DalmaziaCroazia (e no i sa che la z se pronuncia esse). Per fortuna ch
Una cosa è l’esistenza di una lingua.
Altra cosa è scrivere la lingua.
Prendiamo ad esempio lo spagnolo. Per dire “100” alcuni spagnoli dicono [thjen] mentre altri dicono [sjen]. Nonostante la differenza di pronuncia, lo spagnolo è comunque considerato lingua.
Si è posto il problema di come trascrivere queste sue variazioni. Gli Spagnoli hanno deciso di utilizzare C e scrivono “ciento”: poi ognuno pronuncia secondo la propria varietà.
Vediamo il portoghese. In alcune zone le parole “paço” (palazzo) e “passo” (passo) hanno la medesima pronuncia. In altre varietà invece “paço” ha un suono diverso. Anche qui, diverse varietà, una lingua. Semplicemente i Portoghesi hanno deciso che per loro la Ç può essere letta in due modi diversi, secondo la varietà parlata dal lettore.
(autocorreggo un piccolo refuso qui sopra: alcuni Spagnoli dicono [thjen], altri dicono [sjen], tutti scrivono “cien”)
se seguiamo il ragionamento di questi signori (signore) nemmeno l’inglese è una lingua
Una domanda: mi spiega di quale lingua il Veneto sarebbe un dialetto?
Caro Alessandro,
amico dei banchi di scuola,sono Renzo Fogliata e ti saluto davvero con il cuore, dopo tanti anni che non ci vediamo.
Ciò premesso, vorrei invitarti, come ho fatto invano con Federico Moro, ad essere meno tranciante nei giudizi.
Una tesi, per di più su di una materia tanto controversa, non è “smentita” sol perché ne viene proposta un’altra targata Marcato. Mi stupisce che tu affermi che siccome la Marcato, allieva di Cortellazzo, dice che il Veneto non è una lingua allora ipso facto non lo è e chi non si “convince” è un allocco!Sul punto la Marcato,tra gli studi anche internazionali in materia, è totalmente isolata. Diciamo che invece, qui in Italia, è in linea, perfettamente conformista, con la vulgata politicamente corretta. Del resto, una docente di “Dialettologia”, non può che essere corerente almeno con il nomen dela propria cattedra; pena, smentire sè stessa.
Passando alle cose serie, ti invito a leggere invece lo splendido testo di Ronnie Ferguson (Saggi di lingua e cultura venete, cleup, 2013; Ronnie Ferguson è Professore Ordinario d’italianistica all’Università di St Andrews. È socio straniero dell’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana. Nel 2005 è stato nominato Cavaliere OSSI dal Presidente della Repubblica per il contributo agli studi italiani in Gran Bretagna. Si occupa di teatro rinascimentale, linguistica storica, dialettologia, e lingua e cultura del Veneto. Ha pubblicato saggi su riviste quali «Lingua Nostra», «L’Italia Dialettale», «Ce fastu?», «Quaderni Veneti», «Italian Studies» e la «Zeitschrift für romanische Philologie». È autore o curatore di otto libri. Tra questi uno studio complessivo sul teatro di Ruzante (The Theatre of Angelo Beolco (Ruzante): Text, Context and Performance, Ravenna, Longo, Ravenna, 2000) e una fortunata monografia sulla storia linguistica di Venezia (A Linguistic History of Venice, Firenze, Olschki, 2007). Lavora attualmente sulla lingua di Goldoni, su aspetti del veneziano ottocentesco, sulle iscrizioni medievali a Venezia, su etimologie ruzantiane, e sui rapporti tra commedia rinascimentale italiana e il teatro elisabettiano inglese).
Lo studioso afferma esattamente il contrario di quanto vai predicando nel tuo blog come fosse verità rivelata: non solo il Veneto è lingua ma, tra le lingue italiche, è quella con i tratti comuni più forti e connotanti, grazie all’influenza del dominio veneziano. Le varianti sono percepite da noi, ma il glottologo non ha dubbi sul monolite linguistico che le sorregge.
Ora,dovrei dire anch’io: si convinceranno adesso gli spiritosi del dialetto? I buontemponi della Storia? I pennivendoli del web? Nemmeno per sogno! Non mi pare che sia un buon metodo. Quindi, scusami Alessandro, meno sorrisetti di sufficienza e più scientificità, ovvero apertura al confronto culturale. Altrimenti cadi nell’assolutismo di Moro, che nobilmente ha concluso che di noi ridono tutti; noncurante della stroncatura insanabile che il suo “Venezia in Guerra” ebbe da Morin: indiscusso, rigoroso, autorevolissimo studioso di armi, balistica e storia militare. Dovremmo ridere anche noi? Preferiamo di no, perché risus in ore stultorum abundat.
Ti abbraccio e spero davvero di rivederti presto
Tuo Renzo
Purtroppo i pedanti provincialotti, come lei, che hanno girato poco il mondo (o credono di averlo girato solo perché hanno vissuto in qualche metropoli) non si rendono conto della grandezza della loro terra e masochisticamente denigrano la propria madre … lingua.
Almeno i contadini, provincialissimi ma modesti e umili, sono consapevoli della propria cultura e non vaneggiano su argomentazioni a loro non note.
Lei invece ha l’ardire di imbarcarsi in discorsi triti e ritriti ripetendo come un pappagallo le balle enormi pompate dai reggitori del regime fascistoide italiota (i docenti universitari).
Non si rende conto che la cultura cosiddetta ufficiale italiota per obnubilare il fortissimo spirito identitario ed anche imprenditoriale veneto propala menzogne surreali e spesso contraddittorie.
Le suggerisco vivissimamente di seguire un corso dell’accademia della Bona Creansa per ricredersi e rendersi conto che il Veneto è una lingua viva dotata di ferree regole grammaticali e che c’è chi s’è preso la briga di analizzarla e compararla con le altre lingue europee dimostrando che ha molte affinità con queste e meno con l’italiano.
Bona creanza vuol dire buona educazione, e io la conosco, al contrario di lei. Quindi aprire un post in un blog altrui con un’affermazione offensiva, qualifica lei per quello che è. Comunque siccome io sono uno spirito libero, metto comunque online il suo post. Invece di insultare usi argomenti, qualora ne abbia.
Gentile Alessandro Marzo Magno,
la invitiamo cortesemente a non usare il nome dell’Academia de ła Bona Creansa come cortina fumogena per le sue risposte, anche omettendone una parte o cambiandone furbescamente una lettera, per non creare all’Academia de ła Bona Creansa un danno d’immagine, voluto o non voluto che sia.
Grazie
Team Facebook di
Academia de ła Bona Creansa
Quello che è certo è che l’Italia politica oltre che tantare di distruggere la fisionomia fisica e morale dei Veneti sta facendo di tutto per distruggere passato e presente dei Veneti compresa la loro LINGUA spalmandola e corrompendola con l’italiano. Comunque che l’origine del Veneto antico che è quello che ha determinato la nostra inflessione e parlata con tutte le sue varianti ben chiare tutt’oggi e sicuramente lingua indipendente e autonoma dall’origine latino/italiana. Certo il latino l’ha rovinata ma non l’ha distrutta. Quello che invece questi soloni dovrebbero fare è di cercare di salvarla cercando di normarla e ridargli dignità nazionale sempre all’interno delle sue varie sfaccettature locali come faceva e rispettava la Serenissima. Tutto questo dovrebbe essere visto come ricchezza culturale della penisola italiana e non una spalmatura a marmellata uniforme e globalizzata che no ci rende certamente culturalmente più ricchi
Per favore qualcuno mi può spiegare la differenza tra dialetto e lingua? Mi sembra di capire dai vari commenti che un dialetto sia una sorta di storpiatura della lingua da cui deriva. Se questo è corretto allora il friulano e il veneto non sarebbero dialetti perché hanno una origine diversa e non derivano dall’italiano.
Questo vale allora anche per il piemontese il lombardo il ligure il pugliese e così via? Cerco solo di capire, da persona non esperta della materia. Io semplicemente avevo sempre pensato che la caratteristica principale di una lingua fosse quella di essere unitaria a parte qualche differenza di pronuncia o di accento o di uso prevalente di alcuni termini o tempi verbali piuttosto che altri. Come l’italiano. Per quanto riguarda il friulano per esempio mi sembra che le differenze siano piuttosto rilevanti. E anche per il veneto. E se per quest’ultimo ipotizzassimo che la vera lingua antica fosse il veneziano mentre le altre parlate sono dialetti da esso derivati? Sarei fuori strada? Al di là di tutto io penso che ogni dialetto o lingua sia un patrimonio importante da conservare e coltivare però in famiglia o da gruppi di volontari o associazioni culturali. Ms non mi si venga a parlare di insegnare il friulano a scuola … Quale friulano si dovrebbe insegnare poi? Un bambino di Montereale Valcellina dovrebbe imparare il friulano di san Daniele a che scopo? È meglio che continui a parlare la sua lingua in famiglia o no? Per non parlare del friulano o veneto negli uffici pubblici. Ma che senso ha? Dobbiamo sempre perderci in queste sciocchezze? Non ci sono forse altre priorità per migliorare questo povero mondo? Con affetto.
Gentile sign. Magno,
ci permettiamo di rammentarLe che nella commissione grafia, istituita dalla Regione Veneto un paio di decadi addietro, erano presenti i seguenti componenti:
– Manlio Cortellazzo, prestigioso linguista di fama internazionale;
– Belloni Silvano, autore della grammatica della lingua veneta;
– Canepari Luciano, docente di fonetica Università di Venezia;
– Durante Dino, padre del “Strologo”, scrittore e umorista veneto;
– Klein Mario, direttore del mensile “Quatro Ciacoe”;
– Sacco Sergio, Presidente dell’Istituto Ladino di Ricerche Sociali e Culturali;
– Stellin Maria Rosaria in rappresentanza della Società Filologica Veneta;
– Suman Ugo, autore, divulgatore della lingua e della cultura veneta;
– Zamboni Alberto, docente di glottologia Università di Padova;
– MARCATO GIANNA, docente di dialettologia Università di Padova.
Suscita strane sensazioni constatare che la prof.ssa Gianna Marcato definisca il lavoro proprio e il lavoro dei colleghi come un’«orribile “lengua veneta” che non ha nessun fondamento scientifico e culturale» dal momento che il prodotto della commissione fu appunto un manuale denominato “Grafia Veneta Unitaria”.
Team Facebook di
Academia de ła Łengua Veneta
Affermazioni come la “lingua veneta (/lombarda/siciliana/sarda …) [non] esiste” non hanno alcun senso se non si specifica prima che cosa sia una lingua (o una non-lingua).
Ora possiamo certo intendere per LINGUA un codice linguistico elaborato e codificato, usato anche come strumento di comunicazione scritta e formale (standardizzazione e uso “alto” generalmente s’accompagnano, ma non s’inmplicano completamente),
come lo è attualmente l’italiano, mentre a un DIALETTO (o famiglia di dialetti) manca tale elaborazione e condificazione. In questo senso (lingua “per elaborazione”, anche detta nel linguaggio scientifico col termine tedesco “Ausbausprache”) è vero che la lingua veneta “non esiste” (ma sembra essere esistita in passato e potrrebbe esistere in futuro, se lo si volesse, com’è avvenuto per molte altre lingue minori che cent’anni fa “non esistevano”). Si noti bene che ampia parte del genere umano parla come prima lingua idiomi che sono “dialetti” e non “Ausbausprachen”, e ciò avveniva ancora più in passato, quando causa mancata scolarizzazione spesso il dialetto materno era l’unico idioma effettivamente posseduto. Già questa considerazione, che ci porterebbe alla conclusione che molti esseri umani oggi, e quasi tutti ieri, non “parla(va)no nessuna lingua” ci dimostra che quest’accezione di LINGUA, pur avendo una sua validità descrittiva dello status sociolinguistico in cui versa un dato idioma, non può esaurirne il concetto.
Un’altra accezione, ormai classica, totalmente indipendente da quella ora menzionata, è quella di “lingua per distanza” (Abstandsprache), vale a dire di “tipo linguistico”, che di solito si considera rappresentato da una lingua per elaborazione + i dialetti su cui essa si fonda o che risultano comunque ad essa simili; ma può anche essere costituita semplicemente da un insieme di parlate locali affini sulla cui base cui non è mai stata costituita una lingua codificata – e questa direi che sia la condizione più frequente – o anche, all’opposto, d’un gruppo di parlate affini su cui insistono più lingue codificate – naturalmente tra loro simili, visto che su dialetti simili si fondano (com’è il caso del bulgaro e del macedone, che si suddividono come lingue ufficiali un medesimo gruppo di dialetti slavi meridionali). Il punto delicato di questa definizione è che non ci dice “quanto simili” debbano essere i dialetti d’un dato insieme, e “quanto diversi” dal tipo linguistico più simile, perché si possa vedere in essi, o no, una Abstandssprache. Ci sono casi evidenti (p.es. i dialetti della Francia del sud non soni né di tipo francese, né italiano, né spagnolo, quindi vanno considerati nel loro insieme LINGUA d’oc o occitanica o provenzale in senso lato, e questo del tutto indipendentemente dal fatto che nel Medioevo esistesse una “Ausbauspache” d’oc), ma altri più
dubbi. Il veneto (= il tipo linguistico rappresentato dall’insieme delle parlate venete, ovviamente anche quelle fuori Regione come p.es. il triestino) può essere “Abstandsprache”? Il primo requisito (affinità interna) è sicuramente assolto (si potrebbe avere qualche dubbio solo per le varietà più settentrionali), per il secondo, concretamente l’entità della “distanza” media tra veneto e italiano comune, non mi sentirei di dire univocamente sì o no; soltanto osserverei che la tale distanza (differenza) è senz’altro minore rispetto a quella esistente tra le altre parlate dell’Alta Italia e l’italiano (e specialmente rispetto alla distanza friulano-italiano, ladino-italiano), ma maggiore rispetto alla distanza tra italiano e dialetti dell’Italia Centrale.
Una terza possibile accezione di LINGUA, in opposizione a DIALETTO, s’è venuta affermando più recentemente, ed sta per esempio alla base del repertorio delle lingue di Francia compilato da B.Cerquiglini (ed ha quindi in certo qual modo i crismi dell’ufficialità): mentre DIALETTO in quest’accezione è (anche) la particolare coloritura regionale della lingua conune sorta dal contatto tra la norma colta e le parlate tradizionali – p.es. l’italiano regionale parlato con “accento” e altri elementi veneti – LINGUA è l’insieme delle parlate (d’un dati tipo) sottostanti sorte prima della lingua standard o parallelamente ad essa. In questo senso le parlate autoctone venete sono nel loro insieme senz’altro una LINGUA.
Potremmo considerare una quarta accezione: LINGUA può definirsi una idioma (o gruppo di idiomi simili) caratterizzato nella sua specificità non solo da elementi lessicali o sviluppi fonetici particolari (quali individuano un DIALETTO, in questa quarta accezione), ma anche da specificità morfologiche e soprattutto sintattiche. E anche in questo senso non avrei dubbi che il veneto sia una LINGUA.
Tengo tuttavia a precisare che troverei del tutto arbitrario e ingiustificato saltare da queste considerazioni prettamente linguistiche ad ambiti totalmente altri, come il dedurre dall’esistenza d’una LINGUA veneta quella d’un preteso “popolo” (in senso politico) o nazionalità veneta. Se osserviamo bene le situazioni linguistiche in molte parti della terra, vediamo che è frequente che una stessa nazione s’esprima in più LINGUE, giustapposte territorialmente o anche compresenti. In altre parole: la discussione sul veneto lingua o meno dev’essere posta sul piano che le è proprio, senza aspettative o all’opposto timori di implicazioni allotrie.