Piantatela di litigare sulla “purezza” dei piatti: non esiste. Non c’è purezza etnica in cucina: è scambista, bastarda. Adesso ci tocca assistere ai litigi tra Belluno e Napoli. Denis Lovatel, della pizzeria “da Ezio”, di Alano di Piave, è stato premiato dal Gambero rosso per la miglior pizza degustazione. Immediate sparate di Luca Zaia, presidente del Veneto (che vagheggia il marchio «pizza veneta») e reazioni piccate da Napoli («Mai ci saremo permessi di sfidare i veneti sul baccalà alla vicentina», dice Antonio Pace, presidente dell’associazione Verace Pizza Napoletana).
E invece no, non c’è niente di “vero”. La pizza “vera” è il disco di pasta usato come piatto di cui parla Virgilio nell’Eneide, una schifezza, probabilmente che i troiani mangiano solo per non morire di fame. La pizza in Italia l’hanno portata i greci (anche il nome viene del greco “pita”), i greci antichi a Napoli, nella versione lievitata; i greci bizantini a Ravenna, capitale dell’esarcato, nella versione non lievitata, ovvero la piadina. Tutto è contaminazione, guai se la pizza greca, e la pasta araba, non fossero state contaminate dal pomodoro americano.
Allora continuiamo a contaminare e smettiamola di litigare su chi è “puro”. Al di là del fatto che c’è sempre qualcuno più puro che ti epura, in un mondo in cui l’impurità è regola, non ha senso parlare di purezza. Continuiamo a contaminare, solo così il mangiare italiano potrà mantenere il suo primato.
Zaia tutto è veneto, ma sopratutto Trevigiano, come la MARCA SE LA VEDI TI INNAMORI, li vendeva tuto, lori magnava solo polenta e costesine.