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Il quadro “La vocazione di San Matteo” (oggi è san Matteo) dipinto da Vettor Carpaccio nel 1502, e conservato nella scuola di San Giorgio degli Schiavoni, a Venezia, ci mostra, con ogni probabilità, com’era uno dei banchi di Rialto, ovvero l’antenato delle attuali banche. Si trattava di una struttura molto semplice: un banco ribaltabile (banca deriva proprio da banco, o anche tavola, i banchieri al tempo erano detti anche tavolieri), al di sopra una tettoia che serviva a riparare dal sole e dalla pioggia, sul banco un tappeto. Il tappeto era una caratteristica dei banchi rinascimentali, serviva anche a evitare che le monete tintinnassero. Il banchiere è vestito elegantemente, anche al tempo si trattava di un lavoro che rendeva molto (ma si falliva con grande facilità, e non c’erano salvataggi) e sopra il tappeto si vede lo strumento che serviva a contare le monete.

Sotto il banco si trovava un sacco con le monete, il forziere stava in una stanza sul retro o al primo piano. Spesso questa seconda stanza era di pietra, in modo da renderla più sicura, perché anche nel Rinascimento non mancavano i malfattori. Venezia, in ogni caso, non era un centro finanziario di primaria importanza, arriverà ad avere al massimo una decina di banchi, tutti concentrati a Rialto, mentre la capitale finanziaria dell’Italia rinascimentale era Firenze, dove operavano anche una novantina di banchi contemporaneamente. A Venezia le transazioni avvenivano su indicazioni orali, si diceva al banchiere di trasferire una determinata somma: era la detta, o ditta, di banco. Da ciò la parola ditta. A Firenze, invece, i banchi erano lontani fra loro e non si poteva andare fisicamente da un banco all’altro per effettuare la transazione, per cui si scrivevano cifra e nome su un pezzo di carta. I toscani lo chiamavano polizza, noi assegno.

da “L’invenzione dei soldi. Quando la finanza parlava italiano” (Garzanti)

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