Scriveva san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «Ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata.» Eccola qua, quindi, la prescrizione di velarsi; l’«Annunciata» di Antonello da Messina porta un velo abbastanza simile al chador delle attuali iraniane. Le donne occidentali si sono velate per secoli.
L’uso del velo – zendado o zendale – perdura a lungo. Quando Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart, conosce a Trieste la futura compagna di vita, l’inglese Nancy Grahl, nelle sue memorie ricorda che la giovane donna ha «coperto il volto d’un velo nero che m’impediva di vederla». Qualche tempo dopo (1798) si trova a Treviso in compagnia del cognato e i due incontrano una ragazza circondata dalla fama di essere bellissima che «avea un velo che le copriva la faccia». In seguito ne parlano Giosuè Carducci («Su la punta de la lancia / leva un candido zendal»), Alessandro Manzoni («donne la più parte, coperte il volto d’ampi zendali»), Ippolito Nievo («coi capelli disciolti e il solo zendado sul capo mi si gettò fra le braccia gridando che la salvassi»), fino a Eugenio Montale («Le pellegrine in sosta che hanno durato / tutta la notte la loro litania / s’aggiustano gli zendadi sulla testa»).
I capelli lunghi femminili costituiscono una forma di velatura. Ancora una volta san Paolo: «La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo». Quindi le donne con i capelli lunghi non sono nient’altro che donne diversamente velate.
da “Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo” (Garzanti).
Sto leggendo con interesse questo libro e dedico particolare attenzione alla ricerca dei quadri segnalati dall’autore. Alessandro Marzo Magno riesce nella difficile impresa di rendere lieve e romanzato quello che libri di storia del costume rendono ostico allo studente e agli amanti della moda.