L’alternativa del diavolo per le giovani rampolle delle famiglie patrizie veneziane era maridar o monacar. Per non depauperare troppo i patrimoni familiari, si usava sposare solo una figlia, e di conseguenza fornire una dote soltanto. Le altre figlie dovevano andare in convento. Si instaura così una sorta di patto sociale: le ragazze accettano di essere rinchiuse in convento, a condizione di poter fare quel che credono. «Vogliono fare il peggio che possono», scrive un documento seicentesco. Alcuni conventi più che luoghi di espiazione di peccati diventano luoghi dove i peccati si commettono. Per esempio quello di Santa Maria degli Angeli, a Murano, intensamente frequentato da Giacomo Casanova durante la sua relazione con la monaca MM. Questa, una bellissima ventenne di famiglia nobile, probabilmente Maria Morosini, era l’amante dell’ambasciatore di Francia, François-Joachim de Pierre de Bernis, futuro cardinale. Nella migliore tradizione di quegli anni (siamo attorno al 1755) a un amante se ne somma un altro, e il francese aveva fatto ricavare uno stanzino segreto nel casino dove si incontrava con la monaca, dotato di una grata dalla quale poteva osservare la donna mentre si intratteneva con altri uomini.
La moda dell’epoca entra anche nei conventi e gli abiti scollacciati non sono affatto un’eccezione: «Vestono alcune monache più lascivamente con ricci, con petti scoperti» scrive il già citato documento.
da “Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo“ (Garzanti)
Patriarca di Venezia dal 1524 al 1554 fu Girolamo Querini, uomo rigido e severo. Entrato in un monastero agli inizi del suo patriarcato, vide spuntare dalle cuffie delle monache dei riccioli biondi. Infuriato, le fece tutte rapare a zero. Fatica inutile, perchè i “Monachini”, come erano chiamati i giovani amanti, continuarono imperterriti le loro frequentazioni notturne.