Sembra un’iraniana in chador, invece è l’Annunciata di Antonello da Messina (1476). Il velo femminile ha una tradizione secolare. Scriveva san Paolo nelle lettera ai Corinzi: «Ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto manca di riguardi alla propria testa perché è come se fosse rasata». Qualche riga dopo aggiunge: «La lunga capigliatura è data a modo di velo.» I capelli lunghi femminili, ben presenti anche ai giorni nostri, non sono quindi altro che un succedaneo del velo.
Nel Quattro-Cinquecento, a Venezia, la ragazze da marito delle famiglie patrizie escono di casa solo due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, nascoste da un velo che copre loro il viso e accompagnate dai maschi di famiglia.
Il velo femminile, zendal o zendado, si ritrova testimoniato per secoli, fino a Eugenio Montale che scrive: «Le pellegrine in sosta che hanno durato/ tutta la notte la loro litania/ si aggiustano gli zendadi sulla testa».
Al velare, in ogni caso, corrisponde lo svelare, al coprire lo scoprire, mostrarsi diventa un gioco di seduzione. Un po’ come, ai nostri giorni, nel caso delle danzatrici arabe che coprono il volto, ma ostentano l’ombelico.
da “Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo” (Garzanti)