Tanti, troppi, danno risposte. Io invece amo pormi domande, soprattutto quando le risposte sono difficili, o forse non ci sono. Come in questo caso.
Sebenico (Šibenik), Dalmazia, è stata veneziana dal 1412 al 1797. Lì è nato Niccolò Tommaseo, l’estensore del primo vocabolario della lingua italiana. Tommaseo era figlio di una croata, tanto da essere perfettamente bilingue e avere scritto, oltre che in italiano, anche in croato. In particolare un’opera intitolata Iskrice (Scintille) e un’altra nel dialetto ikavo sebenzano: Vidio sam zvidu nove svitlosti (Ho veduto una stella d’insolita luce).
Zante (Zakynthos), isola jonia, è stata veneziana dal 1194 al 1797. Lì è nato Ugo Foscolo, e ha dedicato al luogo natale una delle sue più celebri poesie. Foscolo era figlio di una greca, tanto da essere perfettamente bilingue. Non sono conosciute sue opere in greco. Sempre di Zante era originario Andrea Calvo, noto ai greci come Andreas Kalvos, perfettamente bilingue, fu segretario di Ugo Foscolo. Scrisse in italiano e in greco, le Odai sono considerate una delle opere più importanti della letteratura greca del XIX secolo.
Dopo la caduta della repubblica veneta, nel 1797, Sebenico entrò a far parte della monarchia asburgica, fino al 1918, quando divenne territorio del regno di Shs (serbi, croati e sloveni, successivamente Jugoslavia).
Dopo la caduta della repubblica veneta, nel 1797, nel 1802, e fino al 1810, Zante divenne parte dell’Eptaneso, o repubblica delle sette isole, che adottò come simbolo il veneziano leone di San Marco. Nel 1864 entrò a far parte del regno di Grecia.
Quindi abbiamo due località, una veneziana per 412 anni e l’altra veneziana per 603 anni (salvo interruzioni), entrambe le località hanno dato alla cultura italiana personaggi fondamentali, e questi personaggi erano bilingui, e qualcuno di loro ha scritto in entrambe le lingue madri. Una di queste località, una volta indipendente, ha adottato per alcuni anni il simbolo del precedente governo veneto.
Una di queste località è stata rivendicata come appartenente all’Italia e viene ritenuta da molti come appartenente all’area culturale italiana (incidentalmente quella che è stata veneziana 191 anni in meno) l’altra invece no.
Perché?
Io non ho una risposta.
Credo però che per rispondere a questa domanda necessiterebbero studi approfonditi, studi che meriterebbero di essere condotti e che probabilmente nessuno farà. Perché le risposte potrebbero non piacere.
PS Non vale rispondere perché Sebenico appartiene alla Dalmazia, visto che Zante appartiene all’arcipelago jonico che ha avuto una storia simile.
Purtroppo la Serenissima a quei tempi voleva vivere in pace dopo la vittoria a Lepanto dove aveva perduto molti valorodi il Doge non se le sentita di mandare a morire altra gioventù, il resto lo sappiamo tutti.
Dopo Lepanto la Serenissima fu impegnata in parecchie guerre, prima fra tutte quella di Candia, durata ben 24 anni, dal 1645 al 1669. In quel conflitto morirono 250 patrizi, su un totale di circa 1500, una percentuale altissima, come se ne può dedurre. Non era il doge a decidere lo stato di guerra, bensì il senato (consiglio di Pregadi).
Da alcune mie esperienze personali, come prima cosa proporrei sia necessario istruire tanti italiani, dove si trova l’ Italia di oggi e, quando l’ hanno capito, passare alla storia a tratti piu` o meno brevi. Altrimenti e` inutile aspettarsi risposte sensate.
Per quanto mi riguarda cercherei di spostare la domanda su un piano storico/istituzionale più che linguistico e questo spostamento riguarda tanto l’Istria, che la Dalmazia che le isole dello Jonio. Con ciò la domanda si sposterebbe non più o soltanto sulla matrice della favella (italiana), ma sulla realtà storica e cioè veneziana !!! Dall’ottocento in poi impera una imperdonabile sovrapposizione tra matrice linguistico/culturale e realtà nazional/statale. Ora, secondo questa ultima accezione, dire che istriani, dalmati o eptanesi di espressione neo latina sono italiani, equivale a dire che lo sono anche i ticinesi ai quali però noi aggiungiamo sempre la diplomatica e cauta etichetta di “Svizzero/italiani” dato che loro per primi si definiscono orgogliosamente svizzeri. Inutile ricordare che la realtà multietnica, multilinguistica e multireligiosa della repubblica di Venezia poco aveva a che fare con l’italianità ottocentesca e nazionalistica e in questo senso mi sentirei di dire che per le popolazioni latine della costa orientale dell’Adriatico e dello Jonio l’accezione di “italiano”, vada un po’ meditata !!
Il discorso di Alessandro è che Sebenico – cioè la Dalmazia, in ultima battuta – è stata e viene considerata “da molti” come “italiana”. Zante – cioè le isole Jonie – invece no. Intanto mi chiedo chi siano i “molti” di cui parla Alessandro. Così come mi chiedo che intende di preciso con “area culturale italiana”. Intende la presenza storica della lingua (e della cultura) italiana sul territorio? Oppure intende dell’altro? Perché nel primo caso non vedo che ci sia di male nel dire che (anche) la Dalmazia rientra in quel concetto. Così come è da tutti accettato che lo stesso discorso vale per le isole Jonie. Il cui possesso peraltro, anche dal punto di vista politico venne ad un certo punto – cioè nel 1941, per la precisione – reclamato dall’Italia. Com’è noto.
Spigolando però nella discussione sul suo profilo facebook, leggo che in realtà il suo discorso di fondo sarebbe questo: gli italiani – dice Alessandro – ce l’avevano con gli slavi, mentre non ce l’avevano – sostanzialmente – coi greci. Il tutto perché ritenevano i primi una “razza inferiore”, mentre i secondi no. Per questo si misero a chiedere – sempre secondo lui – la Dalmazia, tralasciando invece le isole Jonie. Ebbene: anche questo discorso in realtà è un po’ confusionario. Nel senso che le cose sono andate un po’ diversamente. E soprattutto: “studi approfonditi” – come dice lui – per spiegarsi meglio il tutto in realtà non mancano. Solo che probabilmente lui non li conosce.
C’è un errore. Tommaseo in realtà non era “perfettamente bilingue”. Lui stesso racconta di esser stato in grado di scrivere le sue “Iskrice” grazie all’assistenza sia dell’amico Spiridione (Spiro) Popović, che fra l’altro non era nemmeno croato, ma serbo di Sebenico, che di uno Spiro Dimitrović, ufficiale – anch’egli serbo – di stanza a Venezia dove Tommaseo lo conobbe. I due funsero praticamente da traduttori e/o correttori di bozze, visto che Tommaseo non era in grado di scrivere la lingua da lui stesso detta “illirica”. Lui era in grado di comprendere il dialetto ikavo che si parlava a Sebenico, che poi era la lingua di sua madre. Ebbene: anche per scrivere in ijavo l’elegia Vidio sam zvidu nove svitlosti Tommaseo dovette farsi aiutare. Come facciamo a sapere che Tommaseo non conosceva bene nemmeno il dialetto ikavo di Sebenico? Ce lo dice lui stesso presentando l’elegia: “Alla memoria di mia madre consacrai queste semplici parole scritte nella lingua del popolo dalmata, lingua da me mai ben saputa, e in sì lunga assenza dimenticata del tutto, ma degna che si mediti e s’ami”. Dei pochissimi testi che Tommaseo lasciò in “illirico” (quattro pubblicati), l’unico che non venne revisionato da un madrelingua croato o serbo (ma addirittura in un caso gli fu d’aiuto anche un polacco) è una poesia in cinque versi dedicata alla moglie Diamante Pavello, che infatti è piena di errori.
Aggiungo che Tommaseo in una sua opera ricorda alcuni giochi e filastrocche di quanto era bambino: tutte in dialetto veneziano.
Riguardo al fatto di ritenere “italiana” Sebenico, direi che nemmeno nel periodo immediatamente successivo alla Grande Guerra, quando l’ammiraglio Millo si stanziò proprio a Sebenico per comandare da lì il governo militare della Dalmazia occupata, si trovano testi nei quali si dice che questa località è italiana. Zara senz’altro, così come Lissa, e financo Spalato: ma di Sebenico tutti sapevano che fosse in gran maggioranza abitata da jugoslavi. Ciò non impedì ovviamente di reclamarla lo stesso, ma qui si aprirebbe un discorso assai lungo e complesso. Consiglio la lettura dei saggi del prof. Monzali sui dalmati italiani.
Condivido pienamente quanto scritto da “Altro Luigi”. Voglio aggiungere che mentre a Sebenico vi fu una notevole comunita’ italiana (o veneta o ‘dalmata italiana’) fin dal Medioevo, a Zante gli italiani era pochissimi. E questo fatto probabilmente e’ alla base del “perché qualcuno ritiene Sebenico italiana e Zante no”. Del resto basta leggere su Internet la Treccani del 1936 dove testualmente si afferma che
“…Nel sec. XIV Sebenico è una città tutta italiana…”
Consiglio una visita al cimitero di sebenico. tante tombe con nomi italiani, Ma è cio’ che resta del suo glorioso passato italiano e veneto. Peccato! La storia ci ha sempre remato contro dalla caduta dell’impero romano
Non direi, di certo alla fine della storia (o per ora forse…) ci e’ andata meglio di ungheresi e serbi per esempio i quali davvero sono rimasti col cerino in mano.