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Le gentildonne veneziane si piazzavano sulle altane dei loro palazzi – piattaforme di legno costruite sui tetti – vestite con lo schiavonetto, una tunica leggera di lino; si mettevano in testa un cappello senza calotta, detto solana, con una tesa molto ampia che riparava viso e nuca e permetteva di esporre ai raggi solari i capelli che ne fuoriuscivano. Tenevano in mano un bastoncino in cima al quale era fissata una spugnetta usata per bagnare in continuazione i capelli, che poi asciugavano spargendoli sulla tesa del cappello. In questo modo schiarivano i capelli fino a raggiungere quella tonalità biondo-rossiccia che prenderà il nome di «biondo Tiziano» perché usata dal pittore per dipingere le chiome delle dame.
I «capelli biondissimi per forza di sole» delle veneziane costituiscono una delle meraviglie messe in rilievo da Francesco Sansovino, figlio del più celebre Jacopo, che nel 1581 pubblica “Venetia città nobilissima”, una sorta di guida per turisti colti. Ne riferisce anche l’inglese Thomas Coryat nel resoconto del suo viaggio in Italia (1608): «Tutte le donne di Venezia ogni sabato pomeriggio usano ungersi i capelli con qualche olio o altre sostanze per farli apparire biondi, anzi bianchicci, perché questo è il colore che dame e ragazze veneziane preferiscono.»

Da “Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo” (Garzanti).

Colpi di sole