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Missione Grande Bellezza

Missione grande bellezza

Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler

 

Garzanti, 2017
pp. 309, €20,00

 

Le donne e gli uomini che si sono dedicati al recupero delle opere d’arte saccheggiate in Italia da Napoleone prima e dai nazisti poi sono i protagonisti di questo libro. Antonio Canova viene spedito dal papa a Parigi nell’agosto 1815 per cercare di riportare indietro – contro ogni logica e contro i trattati in vigore – i capolavori strappati a Roma e allo stato pontificio. Alla fine avrà successo, ma solo grazie alla sua caparbietà e al suo prestigio.
Rodolfo Siviero, lo 007 dell’arte, riesce nel 1948 a ottenere l’unica modifica al trattato di pace imposto all’Italia: si potrà chiedere le restituzione anche dei capolavori usciti prima dell’8 settembre 1943. Dopo quella data, infatti, i nazisti si sono semplicemente presi ciò che volevano; in precedenza gli emissari di Adolf Hitler e Hermann Göring compravano opere d’arte inesportabili che invece venivano magicamente rese esportabili. Il primo capolavoro di questo tipo a tornare è il celeberrimo “Discobolo” di Mirone.
Se all’indomani del Congresso di Vienna il grosso del lavoro di recupero viene svolto da Antonio Canova (il commissario austriaco, Giuseppe Rosa, responsabile per il Lombardo-Veneto, stava lasciando a Parigi il Codice Atlantico perché pensava che la scrittura rovescia di Leonardo da Vinci fosse cinese), sul finire della seconda guerra mondiale sono diversi personaggi a darsi da fare per salvare l’arte italiana. Rodolfo Siviero su tutti, ma non si possono dimenticare i vari soprintendenti – Giuseppe Poggi, Emilio Lavagnino, Pasquale Rotondi, nonché il futuro sindaco di Roma Giulio Carlo Argan – il capo partigiano Pietro Ferraro, decorato sia dagli italiani sia dagli americani, e le Monuments Women italiane: la romana Palma Bucarelli, la milanese Fernanda Wittgens, la torinese Noemi Gabrielli. La prima di una bellezza sfolgorante e discendente di un viceré del Messico, la seconda che dopo aver posto al riparo le opere d’arte di Brera si occupa di mettere in salvo ebrei e resistenti, viene arrestata dai repubblichini e finisce in carcere.
Si racconta la storia dei recuperi, si narrano anche le vicende dei saccheggi. Il generale Bonaparte che, prima ancora di entrare in Italia, dice ai suoi soldati: «Ricche province, grandi città saranno in vostro potere. Vi troverete onore, gloria, ricchezze» e comincia la storia di una ruberia che inizia nel 1796 e va avanti per almeno una decina d’anni (ma continuerà con i dominatori successivi). Nel 1797 Napoleone si avventa sul boccone più ricco: Venezia, l’unica città italiana dove mai un soldato straniero aveva messo piede dalla sua fondazione, oltre un millennio addietro. Porta via di tutto, e molto non tornerà mai più, come il gigantesco quadro delle “Nozze di Cana”, di Paolo Veronese, che ancora oggi è al Louvre, quasi invisibile perché si trova dirimpetto alla “Gioconda” di Leonardo e pochissimo si voltano per guardarlo.
Adolf Hitler – pittore mancato – viene in Italia nel 1934 e poi di nuovo nel 1938, rimane estasiato di fronte alle bellezze artistiche di Roma, Firenze, Venezia: le vuole e se le prenderà.
Ancora oggi sopportiamo le conseguenze di quei saccheggi: all’incirca la metà dei capolavori asportati in epoca napoleonica non sono mai tornati; altri sono andati a formare il Louvre italiano, ovvero la milanese pinacoteca di Brera.
All’appello dei beni razziati dai nazisti mancano 2487 oggetti, secondo il computo effettuato dai carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale, l’unico organo di polizia del mondo specializzato nel recupero delle opere d’arte. L’oggetto più importante tra quelli dispersi è la “Testa di fauno”, opera giovanile di Michelangelo che si trovava a Firenze nel museo del Bargello. Asportata nel 1944, non è mai più tornata. Potrebbe trovarsi, come molte altre cose, in Russia, nei sotterranei dei musei di Mosca o di San Pietroburgo. L’era di Vladimir Putin non si rivela tuttavia molto diversa rispetto a quella dell’Unione sovietica: nulla trapela oltre le spesse mura del Cremlino.

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